"L'intellettuale è un signore che fa rilegare i libri che non ha letto" [Leo Longanesi]

mercoledì 13 febbraio 2008

Perchè non sono un conservatore

Il fatto che la corrente liberale o libertaria sia sempre stata accomunata, per ragioni di logistica politica o di semplice opportunismo, all'universo politico della Destra ha traviato fortemente la dimensione partitica italiana, tanto da inserire questa dimensione filosofica così sfaccettata e complessa all'interno di una logica di appartenenza ristretta e mortificante.
Le categorie illuministiche di riformismo e conservatorismo hanno inevitabilmente contagiato questa visione, dimenticando la necessaria contestualizzazione e storicizzazione di questi due atteggiamenti: tradizionalmente agli esponenti dei partiti della Destra è stata affiancata un'anima conservatrice, che, in un modo, è entrata a far parte della sua definizione.
Se però questa etichetta, seppur generalista, ha ancora uno sfondo di verità, mi meraviglia molto il fatto che per anni, nonostante il reale fallimento comunista, e quello più teorico del socialismo reale, la Sinistra abbia mantenuto la sua aurea di riformismo incondizionato, calato da un atteggiamento di superiorità morale e culturale mai messa in discussione. Il fatto che per anni si sia pensato che il liberalismo faccia parte integrante dell'universo politico della Destra non può che portare ad un inevitabile rivisitazione dei due termini, e alla constatazione della loro parziale capacità di descrivere una realtà poliedrica.
Scrive Hayek, "In un'epoca in cui gran parte dei movimenti progressisti sono favorevoli ad ulteriori attentati alla libertà individuale, facilmente chi ha cara la libertà consuma tutte le proprie energie opponendovisi. Molto spesso, in questo, si trova dalla stessa parte di coloro che sono avversi a qualsiasi cambiamento".
Insomma, su questo piano i conservatori sono stati buoni alleati per la causa liberale: ciò nonostante, sul piano di fondo, le differenze si manifestano in modo determinante.
Il liberalismo e la sua forma più integrale e profonda del libertarismo, sono per natura fiduciosi nelle capacità dell'individuo, promuovono l'eliminazione di ogni ostacolo allo sviluppo dell'individuo, sia esso posto in una logica di mercato o nel più circoscritto ambito della propria realizzazione personale, in modo da facilitarne l'evoluzione spontanea.
Sul continente europeo, il panorama liberale ha sempre sentito dell'influsso della Rivoluzione Francese, che ha portato di fatto ad una considerazione dello Stato come concessore di un ordine sociale predefinito, in cui la dimensione interpretativa della conoscenza era appannaggio di pochi, aspetto che deriva dal fatto che la sua dispersione avrebbe facilmente reso velleitario ogni tentativo di istituire un "ordine supremo".
Se l'economia è la scienza che studia l'allocazione di risorse scarse (Robbins), allora uno stato che impronta la propria azione sulla pianificazione decide a prescindere il sistema di collocamento delle risorse con cui gli individui raggiungono i propri fini e soddisfano i propri bisogni. Di fatto l'autorità costituita, determinando arbitrariamente i mezzi economici, indirizza anche i fini di ciascun individuo, che spesso vanno oltre la natura economica da cui sono originati. E se le finalità di ciascun individuo, come accade, sono dettate da valori condivisi, e a loro volta, sono capaci di influenzarne la formazione, chiunque detenga questo esclusivo controllo sulle masse, decide anche quali siano i valori da perseguire e quali no, costituendone una gerarchia statica e conservatrice, da cui si generano inevitabilmente caste e privilegi.
Il controllo economico, desiderato tanto dai conservatori per opporsi ai mutamenti del progresso, quanto dai socialisti per la realizzazione del loro Eden sociale, non può essere quindi scisso dalla totalità delle libere scelte di ciascuno, perchè non ne è solamente un aspetto fra tanti, ma è l'aspetto che influenza maggiormente la completa realizzazione individuale. E' stato questo errore di prospettiva, che vedeva la sfera economica come un aspetto a se stante la globalità dell'individuo, a portare alla proliferazione dei sistemi di economia mista tipici del XX secolo.
L'attenzione delle politiche economiche si è rivolta non tanto verso la crescita e l'incremento di produttività (e conseguentemente degli standard di vita), ma piuttosto verso una logica redistributiva, di prelievo e offerta statale. L'idea che l'utilità marginale (e la correlata percezione del valore) potesse essere misurata in assoluto e non solamente in relazione ad altre dimensioni affini, ha portato di fatto alla convinzione che i benefici in termini di consumi e di crescita ottenuti tramite il trasferimento di ricchezza tra i contribuenti, fossero maggiori dei disincentivi all'investimento gravanti sui grandi patrimoni. Tutto ciò nella certezza che si potesse misurare con esattezza il valore di 1$ trasferito, unicamente in relazione alla totalità delle sostanze del beneficiario, arrivando quindi ad un risultato nettamente positivo, proprio come 1/10 è maggiore di 1/30.
Ma se l'utilità di un bene al raggiungimento di un determinato fine non è quantificabile matematicamente, dal momento che dipende da un insieme di giudizi di valore dettati dal confronto con altri beni, è possibile solamente stilare una classifica di priorità in cui l'individuo, come consumatore, preferisce A rispetto a B, e B rispetto a C. Ne consegue l'impossibilità di misurare, sotto il profilo quantitativo, l'utilità marginale dei fattori presenti sul mercato, e la legittimazione di un'analisi puramente qualitativa: partendo da questo presupposto, risulta ancor più fallace il tentativo di instaurare un confronto tra le utilità di persone differenti.
Sul piano più strettamente etico, questa matrice costruttivista nega il fondamento dell'"evoluzione spontanea" dell'individuo, e ogni possibilità di una "Grande Società" in cui sia impossibile dettare una linea di interpretazione comune.
Si può dire che il conservatore una volta perseguito il proprio fine, sia anch'esso un governo fatto dai migliori, o da tutti i più saggi, il problema che si pone è più quello di limitare il loro potere reale che di restringere il campo di azione degli apparati amministrativi messi a loro disposizione.
E' il primato dello Stato sull'individuo, che non può agire se non all'interno di un'unità di azione prestabilita: in altre parole, il primato della politica sulla società civile.

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