Sarà il matrimonio definitivo tra i poteri forti e la politica, con tanto di rito ufficiale celebrato tra quei di Via Solferino. Senza furbetti, s’intende.
Sarà l’apoteosi del politically correct e dei salotti buoni, che saranno animati dalle burle feroci di Vittorio Feltri, Paolo Mieli ed Ezio Mauro, ormai indecisi solo più sui caratteri del titolo.
Finirà che Giorgio Bocca potrà finalmente rivisitare senza timori la sua militanza alla corte del Duce, pentito come da copione, ma consolato, alla bisogna, da Gianni Alemanno, compagno di errori in gioventù.
Marco Travaglio rimarrà miseramente disoccupato, ma troverà in fretta, tra un aborto e l’altro, un posto in Rai.
Sarà invece la tragedia dei duri e puri, dei Diliberti e dei Minà che però, per diritto costituzionale, abbandoneranno bandiere, sigari e magliette per prendere posto in sala.
Avrà inizio la vera commedia all’italiana, ma il menù verrà trasfigurato seguendo il canovaccio dell’Opera dei Pupi: Carlo Magno, Bradimante e Luca di Montezemolo, già pronto per la replica del venerdì. Quella senza Cavalieri.
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